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La Storia

“Io stessa – non ve lo nascondo – vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione.

Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno di lavoro per il loro riscatto, per l’affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita.”

Nilde Iotti

Quando si parla di violenza maschile contro le donne, il richiamo alla storia è necessario. Nel preambolo alla dichiarazione sulla eliminazione della violenza contro le donne, adottata dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1993, si riconosce che “la violenza contro le donne è una manifestazione delle relazioni di potere storicamente disuguali tra uomini e donne, che ha portato alla dominazione e alla discriminazione contro le donne da parte degli uomini e ha impedito il pieno avanzamento delle donne, e che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”.

La violenza maschile sulle donne viene da lontano. È un fenomeno culturale con radici storiche profonde. Vandana Shiva, commentando la morte di due donne in India, qualche anno fa, affermava che, benché la violenza contro le donne sia antica quanto il patriarcato, sì è intensificata diventando più pervasiva rispetto al passato. Shiva si rifaceva alla stessa convinzione che già animava Simone Beauvoir: “Non dimenticate mai che è sufficiente una crisi politica, economica o religiosa per mettere in discussione i diritti delle donne”.

Crisi, squilibri economici, fanatismi religiosi, degrado sociale sono alla base delle reazioni conservatrici che, come prima cosa, rimettono in discussione i diritti delle donne con l’obiettivo, più o meno dichiarato, di ripotarle in casa a fare (solo) figli.  Sulla storia della violenza di genere nei secoli XV e XVI consigliamo la lettura del libro “La violenza contro le donne. Contesti, linguaggi, politiche del diritto” curato da Simone Feci e Laura Schettino.

Il XX secolo ha portato, in Occidente ma non solo, a una serie di conquiste sul piano legislativo favorevoli alle donne: dalla eliminazione nel 1960 delle tabelle remunerative differenti per uomini e donne nei contratti collettivi nazionali di lavoro, fino alle misure contro la violenza di genere approvate per decreto nel 2013. In mezzo molte altre: dalla legge sul divorzio del 1970, alla riforma nel 1975 del diritto di famiglia con la parità nei diritti e nei doveri, all’abolizione del matrimonio riparatore nel 1981, per arrivare al 2009 all’approvazione della legge sullo stalking.

È la “Second Wave Feminism” e per alcuni rappresenta il superamento del confine, alla rovescia. Nella maggior parte dei Paesi occidentali, infatti, parallelamente a queste battaglie nasce il Movimento per i Diritti degli Uomini, di cui il Movimento dei Padri (separati) costituisce ben presto il ramo più attivo e visibile. Come ricorda Chiara Lo Scalzo nel libro “Non un disegno, ma un PAStrocchio”, edito da Matilda Editrice, il 26 marzo 2012 alcune associazioni italiane, insieme ad alcuni esponenti di partiti politici e del Movimento per la Vita, firmano il manifesto del Movimento Maschile Italiano (MoMas). Intorno a questi movimenti iniziano a ruotare una galassia di associazioni e pagine Facebook che si caratterizzano da subito per i discorsi antifemministi e perché propongono uomini e padri come vittime. Come rileva Lo Scalzo, infatti «gli attivisti sono consapevoli che un Movimento per i diritti degli uomini risulta imbarazzante in un contesto sociale nel quale – ci dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – la violenza sulle donne è un’emergenza sanitaria mondiale e il 35% delle donne è vittima di violenza fisica e/o sessuale da parte del partner o di sconosciuti, mentre il 38% dei femminicidi avviene per mano del compagno». Il cavallo di battaglia delle campagne contro le donne diventa quindi la paternità, terreno che consente anche un facile reclutamento, considerando l’aumento delle separazioni e le sofferenze e i disagi, anche di tipo economico, appunto, che queste portano con sé.